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domenica 13 febbraio 2011

Il discorso del re

Le ricostruzioni storiche, specie quelle che s' incentrano sulla biografia (parziale o completa che sia) di un personaggio particolare corrono sempre il rischio di risultare ampollose e in definitiva pedanti, scadendo nella facile retorica del "ritratto glorioso" del suddetto personaggio. Sta allora alla maestria del regista e al carisma degli interpreti dare il giusto tono all' opera, ancor meglio quando il punto di vista adottato è più originale di quanto non ci si aspetti alla prima occhiata. Ne è un esempio Il Divo, che ci offre non solo un personaggio che, al di là di quello che è stato e ha fatto Andreotti, risulta filmicamente affascinante, ma si inquadra a tutti gli effetti come una vera e propria apologia sul potere.

Ne è per certi versi affine nello spirito Il discorso del re, che riesce a delineare perfettamente quello che è il dramma vissuto dal Duca di York (Colin Firth) su più aspetti di quanti non ci si possa aspettare. Quello che ne esce è un quadra di un monarca umanizzato, appassionato al suo paese ma dal carattere non facile, reso più difficile dalla balbuzia che ne erige un muro che lo separa dagli altri, a cui si aggiunge il difficile rapporto con la famiglia, ed una certa alienazione, pari solo al suo interesse, dall' uomo comune, di cui troverà un degno specchio nel logopedista Lionel Logue (Geoffrey Rush), che si lascia intimorire ben poco dalla regalità del suo paziente ("Mio il castello, mie le regole").

Quello che sembra essere a tutti gli effetti un polpettone si dimostra quindi sorprendentemente appassionante, e la realizzazione finale del protagonista coinvolge pienamente lo spettatore. Decisamente degno di una visione, e le 12 candidature agli Oscar di quest' anno sembrano ben meritate, se non addirittura degno della vittoria.

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